IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
    Premesso:
      che   con  atto  in  data  20  novembre  1989,  nell'ambito  del
 procedimento penale n. 483/1989, a carico di Stuard Massimo,  per  il
 reato di cui all'art. 641 del c.p., inoltrava, ex art. 554 del c.p.p.
 al signor giudice delle indagini preliminari in  sede,  richiesta  di
 archiviazione per infondatezza della notizia criminis;
      che  il  signor  G.I.P., con ordinanza in data 22 novembre 1989,
 restituiva gli atti a questo sostituto, disponendo che,  entro  dieci
 giorni,  venisse  formulata  l'imputazione  ai fini degli adempimenti
 previsti dagli  artt.  555  e  seguenti,  e,  cioe',  ai  fini  della
 emissione del decreto di citazione da parte dello stesso p.m.;
      che  il  procuratore generale presso la Corte di appello, cui la
 predetta ordinanza del G.I.P. veniva comunicata in data  23  novembre
 1989  non  procedeva  all'avocazione  nei cinque giorni successivi ex
 art. 158 delle disp. att.;
 tanto  premesso,  propone eccezione di illegittimita' degli artt. 554
 del c.p.p., 158 delle disp. att., nella parte in cui, prevedono  che,
 su  richiesta  di  archiviazione  da parte del p.m., il giudice delle
 indagini preliminari, se non accoglie tale richiesta, restituisce con
 ordinanza  gli  atti  al  p.m.,  disponendo  che  questi, entro dieci
 giorni, formuli l'imputazione  ai  fini  degli  adempimenti  previsti
 dagli  artt. 555 e seguenti e che, quindi, il p.m. anche in tal caso,
 debba emettere decreto di archiviazione a giudizio,  per  i  seguenti
 motivi:
    1.  - Violazionre dell'art. 101 della Costituzione che sancisce il
 principio secondo cui i giudici sono sottoposti soltanto alla  legge.
    E'  da  premettere,  ad  avviso  di questo p.m., che la nozione di
 "giudici", di cui al richiamato  art.  101  della  Costituzione  deve
 intendersi  in  senso  lato,  tale da ricomprendervi i magistrati del
 pubblico ministero (apparendo  non  conforme  al  nostro  ordinamento
 complessivo  che  anche  il  p.m.  non  sia  sottoposto soltanto alla
 legge). Tanto premesso, e' da rilevare come l'obbligo per il p.m.  di
 formulare  l'imputazione  e,  quindi ( ex art. 554, quarto comma), di
 emettere decreto di citazione pur in presenza di circostanze  per  le
 quali,  a  suo  avviso,  va  richiesta l'archiviazione, determina una
 indubbia sottoposizione  del  p.m.  non  piu'  alla  legge,  ma  alla
 volonta' ed al punto di vista del giudice delle indagini preliminari.
    La  scelta  del legislatore sul punto appare tanto piu' illogica e
 contraddittoria, ove si consideri  che  lo  stesso  nuovo  codice  di
 procedura  penale prevede, all'art. 256 disp. att., che il decreto di
 citazione a giudizio venga emesso dal p.m. solo quando  egli  ritenga
 "che  gli elementi di prova raccolti siano sufficienti a determinare,
 all'esito   della    istruttoria    dibattimentale,    la    condanna
 dell'imputato".
    Ne' va dimenticato che, ex art. 358 del c.p.p., il p.m. e' tenuto,
 altrei', a svolgere accertamenti su  fatti  e  circostanze  a  favore
 della persona sottoposta alle indagini: in tal caso, anche se al p.m.
 dovessero risultare elementi tali da condurre  ad  una  richiesta  di
 archiviazione,  per  contro,  di  fronte  alla  diversa  volonta' del
 G.I.P., egli dovrebbe ugualmente  emettere  decreto  di  citazione  a
 giudizio.
    Infine,  va  rilevato  come,  attualmente, il p.m. perviene ad una
 richiesta di archiviazione non solo per i casi  di  infondatezza  nel
 merito,  ma  anche quando (art. 411 del c.p.p.) risulti che manca una
 condizione di procedibilita', che il reato e' estinto o che il  fatto
 non  e'  previsto  dalla  legge  come  reato:  anche  in  tali  casi,
 l'obbligatoria emissione del decreto di  citazione  pur  in  mancanza
 delle  condizioni di legge, si risolve in una subordinazione del p.m.
 non gia' alle prescrizioni normative in materia di procedibilita', di
 estinzione  del  reato  ecc.,  bensi'  in una illogica subordinazione
 all'ordine del G.I.P.
    Ne'  puo'  ritenersi  che  un  correttivo  a  tale  situazione sia
 costituito dal potere  di  avocazione  esercitabile  dal  procuratore
 generale  presso  la  Corte  di appello (art. 554, secondo comma, del
 c.p.p., art. 158 delle disp. att.): infatti, se quest'ultimo  non  si
 avvale  di  tale  facolta',  il  p.m. della procura presso la pretura
 dovra' ugualmente ed  obbligatoriamente  formulare  l'imputazione  ed
 emettere il relativo decreto di citazione.
    Se  si  pensa  che,  come  si evince dall'ulteriore disciplina sul
 punto, il procuratore generale  dovrebbe  tendenzialmente  rinunciare
 alla  facolta'  di  avocazione proprio allorche' egli concordi con la
 richiesta di archiviazione del p.m., la conseguenza che ne deriva  e'
 che  il  p.m. presso la pretura sarebbe tenuto ad emettere il decreto
 di  citazione  anche  (e  proprio)  quando  il  suo  operato   riceva
 l'implicito  avallo  del  procuratore  generale  presso  la  corte di
 appello.
    2.  -  Violazione dell'art. 107 della Costituzione che sancisce il
 principio secondo cui i magistrati si distinguono tra  loro  soltanto
 per diversita' di funzioni.
    Appare  di  tutta  evidenza  che,  se  il  p.m.  deve in ogni caso
 emettere il decreto di citazione, anche se le indagini da lui  svolte
 lo indurrebbero a non esercitare l'azione penale, la conseguenza piu'
 ovvia e' quella per cui viene  completamente  svuotata  la  funzione,
 assegnatagli  per  legge  (art.  326  del  c.p.p.),  di  pervenire ad
 autonome determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale.
    Per contro il G.I.P., cui la nuova procedura assegna il compito di
 terzo giudicante, al di sopra  delle  parti,  viene  concretamente  a
 svolgere  la  funzione di effettivo esercizio dell'azione penale, per
 mezzo di un organo che aveva manifestato una  diversa  richiesta  sul
 punto:  in  tal modo, cioe', viene seriamente inficiata la diversita'
 di funzioni  di  cui  al  richiamato  art.  107  della  Costituzione,
 risolvendosi la fattispecie in una mera subordinazione dell'attivita'
 del p.m., a quella del G.I.P.
    3.  -  Violazione  dell'art. 3 della Costituzione, con particolare
 riferimento all'uguaglianza dei cittadini di  fronte  alla  legge,  e
 dell'art.  24 in riferimento al diritto di difesa che e' "inviolabile
 in ogni stato e grado del giudizio".
    E'   necessario  al  riguardo  richiamare  la  diversa  disciplina
 prevista,  nel  caso  di  specie,  per  i  procedimenti  davanti   al
 tribunale, nei quali, in caso di mancato accoglimento della richiesta
 di archiviazione, il G.I.P. non impone l'emissione  del  decreto,  ma
 fissa una prima udienza in camera di consiglio, all'esito della quale
 o accoglie la richiesta di  archiviazione  o  chiede  al  p.m.  nuove
 indagini   o  fissa  con  decreto  l'udienza  preliminare  (che  puo'
 concludersi non solo col decreto di citazione a  giudizio,  ma  anche
 con sentenza di non luogo a procedere ex artt. 424 e 425 del c.p.p.).
    In  tal modo, si vuole evidenziare, mentre il cittadino chiamato a
 rispondere  di  un  reato  di  competenza   pretorile   deve   subire
 automaticamente la chiamata in giudizio, quello che, invece, risponde
 di un reato  di  competenza  del  tribunale  vede  la  sua  posizione
 opportunamente valutata attraverso i filtri dell'udienza in camera di
 consiglio,  prima,  ed  in  quella  preliminare,  poi:  e'  di  tutta
 evidenza,  quindi  la  non  uguaglianza  dei cittadini di fronte alla
 legge nel caso di specie.
    Infine  appare  nettamente  violato  anche  il  principio  di  cui
 all'art. 24, secondo comma della Costituzione secondo cui "la  difesa
 e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
    Si  osserva, infatti, che, a differenza del meccanismo procedurale
 previsto per i giudizi davanti al tribunale, in cui l'imputato  puo',
 nella fattispecie, far valere pienamente il proprio diritto di difesa
 prima in camera di consiglio  e  poi  nell'udienza  preliminare,  nel
 giudizo  pretorile,  viceversa,  l'imputato  non  ha  alcun strumento
 giuridico da opporre immediatamente al G.I.P.  che  ne  sollecita  il
 rinvio  a  giudizio:  non  potrebbe obiettarsi, al riguardo, che egli
 potra' ben difendersi nel successivo giudizio, in quanto il principio
 sancito  dalla Costituzione prevede la possibilita' di difendersi "in
 ogni stato" del procedimento, quindi anche nel  momento  in  cui,  in
 contrasto  con  le  valutazioni  del  p.m., il G.I.P. ne sollecita il
 rinvio  a  giudizio,  essendo  del  resto,  quanto  mai  pregnante  e
 meritevole del massimo rispetto il diritto del cittadino a non subire
 automaticamente un pregiudizievole rinvio a giudizio.
    Ne',   infine,   varrebbe  il  vetusto  argomento  secondo  cui  a
 giustificare la disparita' di trattamento e la violazione del diritto
 di  difesa  di  cui  sopra,  vi sarebbe il minor rilievo dei reati di
 competenza pretorile: infatti, a parte l'attualita' e l'importanza di
 reati  quali  quelli  in  materia urbanistica, ambientale, igiene del
 lavoro ecc., vi e' da rilevare come ormai sono  stati  affidati  alla
 competenza  del  pretore  numerosissimi  reati che, fino a pochissimo
 tempo addietro, rientravano proprio nella  competenza  del  tribunale
 (omicidio  colposo,  favoreggiamento  reale, truffa aggravata ex art.
 640, n. 2, del c.p., ecc.).
    Pertanto,  e'  da  ritenere  del  tutto illogica ed irrazionale la
 disciplina prevista dal legislatore attuale  proprio  nell'ambito  di
 una  procedura  ispirata  a  criteri  di  maggiore  garantismo per il
 cittadino, per cui appare non manifestamente infondata  la  questione
 di legittimita' costituzionale degli artt. 554 del c.p.p., 158, delle
 disp.  att.,  in  relazione  agli  artt.  3,  24,  101  e  107  della
 Costituzione.
    Poiche'  la  questione  appare, poi, certamente rilevante nel caso
 concreto, dal momento che dalla sua definizione dipende, in  pratica,
 il rinvio a giudizio della persona sottoposta alle indagini,